Reale Accademia di Musica – “Angeli Mutanti”

Fai sapere che ti piace!

Il Progressive italiano ha rappresentato un momento indimenticabile della storia musicale italiana. Nato dalle ceneri del beat cercando di seguire gli esempi che arrivavano d’oltremanica – King Crimson, EL&P, Genesis – ha pian piano sviluppato una sua identità propria e inconfondibile, soprattutto per quanto riguarda i gruppi più preparati. Alcuni hanno proseguito con successo per tutti gli anni 70 e 80, magari cambiando genere, mentre altri si sono fermati al primo disco, per i più svariati motivi. La Reale Accademia di Musica appartiene a questa categoria. Il loro album d’esordio uscì nel 1972, prodotto da Maurizio Vandelli (Equipe 84), ed è diventato negli anni un classico, amato e il cui vinile originale è ricercatissimo tra i collezionisti. Sono passati ben 46 anni prima che nei negozi di dischi (oggi soprattutto virtuali) apparisse di nuovo una copertina con il nome Reale Accademia di Musica, “Angeli Mutanti“, forse una delle reunion avvenute a maggior distanza di tempo della storia del rock.! In effetti a ben guardare però di vera e propria reunion non si tratta, bensì di una ri-fondazione del gruppo, che della formazione originale conserva solo Pericle Sponzilli, nome storico della musica italiana, che comunque di quel primo lontano album era autore di tutti i brani nonché chitarrista (e che chitarrista!) e cantante. Suo principale collaboratore in questa nuova avventura è il tastierista Fabio Liberatori, altro veterano della musica italiana, già nella prima formazione degli Stadio, e poi produttore e compositore di fortunate colonne sonore. Accanto a loro la cantante Erika Savastani e i due “giovani” Fabio Fraschini al basso, e Andy Bartolucci alla batteria. Che poi non si tratti di una reunion ma di una vera e propria rifondazione lo dimostra la cosa in definitiva più importante: la musica, che non guarda affatto al passato ma è moderna e attualissima, ed evita il rischio di riproporre stilemi classici del progressive con lo scopo magari di acchiappare i vecchi fans. Ci pensano le tastiere di Liberatori, ogni tanto, a portarci dalle parti del progressive, ma sempre al servizio di vere e proprie canzoni, dalla durata piuttosto breve e con i bei testi di Sponzilli, fino ad arrivare al finale strumentale di  “La Pista e Il Miraggio” che, come leggerete qui sotto, già ci anticipa qualcosa del prossimo album, per il quale spero che non dovremo aspettare altri 46 anni!
Abbiamo parlato del disco con Pericle Sponzilli e Fabio Liberatori, perché è giusto che a parlare della loro musica siano coloro che l’hanno creata, che ringrazio tantissimo per la loro gentilezza e disponibilità

La copertina del primo album della Reale Accademia di Musica del 1972

La formazione odierna del gruppo in studio

INTERVISTA A PERICLE SPONZILLI

Confesso che anche per me qualche anno fa un nuovo disco della RAM sarebbe stato del tutto inaspettato, poi però pian piano ha cominciato a ronzarmi dentro questa cosa, e avevo molte persone che mi dicevano “Perché non lo rifai? Perché non fai un nuovo disco della Ram?”. Così ho cominciato a pensare che poteva essere un’opportunità per divertirsi e per fare una cosa senza costrizioni, ma assolutamente solo per il gusto di farla. Devo dire che all’epoca noi eravamo uno dei gruppi più forti. Suonavamo tantissimo dal vivo, e suonare tanto insieme crea una grossa esperienza. Così anche il Banco (del Mututo Soccorso – ndr), che era nato dalla fusione di due gruppi, aveva tanta esperienza alle spalle e si sentiva che aveva fatto tanta gavetta. C’erano invece altri gruppi, leggermente più giovani, che non hanno avuto questa possibilità perché stava improvvisamente diventando possibile incidere con relativa facilità, e senti che erano meno compatti. Invece nella nostra musica sentivi un sound diverso, maturato proprio attraverso tantissimi concerti che facevamo in tutta Italia. E poi c’era Federico (Troiani, morto nel 2000 – ndr) che era bravissimo e che secondo me non ha più suonato così bene come con la Reale. Tornando al presente, devi sapere che la cosa carina è stata che con questo fatto dei social hai la possibilità di tenerti in contatto con persone che magari non hai modo di frequentare assiduamente. Così ti viene in mente quel tuo amico, con cui tanti anni fa hai passato un bel periodo, e ti fa piacere sapere che cosa sta facendo, ogni tanto gli mandi un saluto e cose del genere. È successo che stavo lavorando nel mio studio con un musicista, e lui mi ha fatto una foto con la chitarra e le cuffie e l’ha postata su Facebook. Fabio (Liberatori – ndr) vedendo questa foto mi ha scritto “Vecchio birbante, che stai combinando?”. Era un po’ di tempo che non ci sentivamo con Fabio, e mi è sembrata una bella cosa che Fabio si facesse vivo, forse aveva voglia anche lui di fare qualcosa insieme. Da qui è nato tutto, e ho cominciato a pensare che questa idea che mi ronzava in testa potesse diventare una cosa concreta. Io spesso prendo la chitarra e butto giù delle idee, e da quando avevo cominciato ad accarezzare l’idea di riformare la RAM avevo scritto alcune canzoni, dando a queste una dimensione un po’ più da gruppo. Così sono andato da Fabio e gli ho fatto sentire questi brani e da lì è cominciato tutto. Io poi l’anno prima avevo conosciuto Andy Bartolucci, il batterista, di cui conoscevo bene i genitori, e l’ho contattato per sapere se era disponibile a ricreare questo progetto, e lui si è dimostrato subito molto entusiasta. Un paio di anni prima avevo invece conosciuto Erika (Savastani – ndr) che aveva fatto col suo gruppo Deserto Rosso un disco (“Progresso” – ndr) in cui c’erano varie cover di classici del progressive italiano, tra cui un brano della RAM, “Ognuno sa”. Mi hanno invitato in studio, Erika e il suo compagno Danilo (Pao – ndr) splendida persona, nonché musicista e produttore in gambissima, per regalarmi alcune copie di questo disco che avevano appena fatto. È nata subito una simpatia, e ricordo che gli portai poi alcune cose a cui stavo lavorando che a loro piacquero molto. Fu Andy, che era all’epoca più in contatto con lei, che mi disse “Ma perché non lo chiediamo a Erika di venire a cantare con noi?”. L’abbiamo contattata, siamo andati a trovarli in studio e si sono innamorati dei 5 brani che all’epoca avevo scritto, tanto che Danilo ha anche curato in parte il mixaggio del disco.

A parte Federico che è morto, non hai contattato gli altri membri della formazione originale?

Il bassista smise di suonare immediatamente dopo che si era sciolto il gruppo, il cantante in realtà non ha più cantato, e così pure il batterista che non ha più la batteria da almeno 20/25 anni. Ogni tanto suona, ma occasionalmente, mentre io ho sempre coltivato la musica e in certi periodi ho lavorato anche molto, c’è sempre stata una continuità. Quando la RAM si è sciolta sono stato 10 anni in India e viaggiavo sempre con la chitarra sulla spalla, non l’ho mai abbandonata. Quando sono rientrato, agli inizi degli anni 80, mi sono subito rimesso in pista. Per esempio a metà del decennio sono stato coinvolto in una cosa che non mi apparteneva, ma che è stata comunque una grossa esperienza, i Blossom Child. Un produttore mi disse “Perché non fai questa cosa con questi ragazzi?” Loro erano molto più giovani di me, così mi sono messo in gioco. Sono stato 2 anni in studio dove ho imparato molte cose, c’erano i primi computer, e in Francia abbiamo avuto davvero molto successo. Era una cosa che non mi apparteneva molto, ma i ragazzi erano molto carini e simpatici, ed era comunque una situazione lavorativa che mi ha dato molto, ma quando è finita mi sono detto che ok, era stato bello, ma due anni erano più che sufficienti! Poco dopo è iniziata l’avventura del “Poliedro di Leonardo”, un’esperienza che mi ha insegnato tanto, grazie alla quale ho conosciuto Gaio (Chiocchio, morto nel 1996 – ndr) che scriveva dei testi pazzeschi, era un poeta proprio, e aveva questa vena incredibile: non ho mai visto nessuno buttare giù su carta tante idee in pochi minuti come lui.

Ho visto che “Angeli Mutanti” ha avuto molte recensioni e tutte molto buone.

Sì, tranne forse qualche critico un po’ più nostalgico. Un giornalista canadese per esempio l’ha giudicato positivamente, però ha criticato il fatto che i brani erano brevi e che non erano abbastanza progressive. Ma in realtà, se si va ad analizzare il primo disco della RAM, erano tutte canzoni. Il fatto è che noi suonavamo quasi tutti i giorni, o altrimenti provavamo, cosa che oggi è impossibile, oggi non esiste più un produttore o un discografico che ti sponsorizza per 5/6 mesi. Per cui suonando tutti i giorni è ovvio che nascessero molte idee su come sviluppare i brani, per questo pur essendo a tutti gli effetti delle canzoni, si ampliavano poi con molte parti strumentali. Noi prima di tutto impostavamo tutti i brani live, non erano prodotti di studio. Avevo uno studio in campagna dove potevamo anche stare insieme a suonare per tutto il giorno, e questo è stato determinante per lo sviluppo delle nostre canzoni. Oggi la situazione ovviamente è diversa. Le canzoni del nuovo disco sono state composte tutte adesso, negli ultimi anni, per cui riflettono il presente. Per me la musica è viva, se scrivo in un certo modo è perché adesso mi piace suonare così. Di musica ne ho sentita tanta, per cui il disco è un prodotto dell’oggi, come mi sembra logico… non volevo riprendere e scimmiottare idee che appartengono al passato. Per me scrivere è un modo di comunicare me stesso. Ora vorremmo tanto fare dei concerti. Ne abbiamo fatto uno bellissimo quando abbiamo presentato il disco a Roma, però vediamo che oggi è molto difficile, non esistono gli ambienti adatti, anche perché noi potenzialmente abbiamo un pubblico che non è per forza un pubblico solo orientato al progressive.
Questa divisione in categorie è stata influente anche per la scelta dell’etichetta con cui uscire. Non ti nascondo che abbiamo avuto inizialmente dei contatti con un’etichetta specializzata – di cui non facciamo il nome per delicatezza – che però poi ci ha fatto capire che eravamo, per loro, fuori target, non abbastanza progressive per intenderci. Poi abbiamo avuto anche l’interesse della Sony, che ha la Cramps, etichetta storica del rock italiano, che però aveva avuto una esperienza deludente con il disco del Rovescio della Medaglia e ha deciso per un po’ di non investire più su un certo tipo di musica. Ma forse non è stato neanche un male, perché in una grande compagnia rischi di essere marginale e di non contare nulla. Il fatto poi di avere recuperato questo nome, Reale Accademia di Musica, è stato un vantaggio e uno svantaggio: il vantaggio è che immediatamente ti apre alcune porte, si crea la curiosità di sapere cosa è successo in tanti anni, ma al tempo stesso c’è lo svantaggio di chi ti incasella in un certo filone, mentre io sono convinto che potremmo essere apprezzati da un pubblico molto più vasto.
Ora stiamo pensando al disco nuovo, abbiamo già dei brani, secondo me anche piuttosto belli, e verrebbe un bellissimo secondo disco… diciamo terzo (ride), lo dico senza falsa modestia. E spero che questa formazione duri a lungo, ma l’unico modo per fare durare una formazione è fare concerti, anche se capisci che spostare un gruppo ha dei costi non indifferenti, e un minimo di ritorno ci deve essere. Oggi purtroppo manca anche la figura del manager, e la maggior parte delle agenzie lavora con questo mondo dei talent o al massimo dei cantautori. 

INTERVISTA A FABIO LIBERATORI

Il progressive è la mia formazione e la mia passione, ma il lavoro mi ha portato negli anni a trovare altre soluzioni. Nel primo disco degli Stadio il mio brano è assolutamente progressive, rispetto a tutti gli altri. Io volevo portare il gruppo in quella direzione, la maggioranza della band voleva andare invece in un’altra, e dopo alcuni dischi, quando mi fu offerta la possibilità di lavorare con Carlo Verdone presi la dolorosa decisione di tirarmi indietro. Sopo poi tornato finalmente al prog in tarda età quando incontrai Pericle (Sponzilli, ndr) che avevo conosciuto quando ancora avevo i calzoni corti. Io iniziai ad appassionarmi a questo genere quando da ragazzino mi regalarono un disco di Emerson Lake & Palmer. All’epoca studiavo pianoforte, facevo musica classica, sentivo canzoni ma per me è stato uno shock… pensai che quella era la musica più bella che si potesse fare. Da ragazzino andai poi per caso a vedere un concerto dei Fholks, che era il gruppo da cui poi nacque la Reale Accademia di Musica, in un locale poco lontano da casa mia. Ero sotto al palco in questa discoteca, io già suonavo ma loro erano erano un po’ più grandi di me, e durante una pausa chiesi al tastierista se potevo toccare l’organo Hammond, che all’epoca era un sogno irraggiungibile. Lui fu molto gentile, mi fecero salire sul palco, mi lasciarono suonare qualche cosa e successe una cosa veramente splendida: mi vennero vicino e mi dissero “Ma tu hai questa abilità? Tu farai questo lavoro e diventerai bravo”. Lì per lì non diedi nessun peso a questa cosa, ma quelle parole continuarono a girarmi in testa. Dopo moltissimi anni incontrai ancora Pericle, con cui facemmo “Il Poliedro di Leonardo”, che era un’opera multimediale piuttosto complessa con la collaborazione di artisti quali Carlo Rambaldi, Giuseppe Rotunno e Douglas Trumbull (autore degli effetti speciali di “2001: Odissea nello spazio”, ndr). Lavorando alcuni mesi insieme, con Pericle è nata così un’amicizia, a parte la stima che ho per lui che considero un chitarrista assolutamente eccezionale e molto personale. Archiviata quell’esperienza, un paio di anni fa è nata quest’idea di ricreare la RAM. Io adoravo il loro primo disco, brani come “Vertigine” o “Padre” per me sono pezzi favolosi, e mi piacque l’idea di ricreare il gruppo con il fondatore originale, Pericle, che era poi l’autore di tutti brani di quel disco. Ci siamo messi così un anno a scrivere musica e il risultato lo si può ascoltare nel disco.

Se posso essere sincero, prima di ascoltare il disco ero leggermente prevenuto, in quanto temevo di trovarmi di fronte all’ennesima riproposizione del progressive anni 70, invece mi sono piacevolmente stupito di trovare un disco di pop-rock con qualche inserto e una nervatura progressive, ma soprattutto un disco di canzoni con un uso della chitarra piuttosto rock, e qualche tocco di tastiere, qualche assolo o qualche tappeto di archi che danno un’atmosfera diversa.

Hai centrato perfettamente il senso del disco. Questo è merito soprattutto di Pericle. Lui ha detto fin dall’inizio che rifare il verso alla musica degli anni 70, riproponendone tutti gli stilemi, è una cosa che avrebbe fatto piacere solo ai fans diciamo monotematici, che vogliono sentire in un disco solo quelle cose. Ma così non c’è progresso vero nello sviluppo di uno stile, vuole dire riproporre materiale già usato da decine di anni.

Una domanda tecnica: hai usato tastiere analogiche o hai ricreato certi suoni con strumenti moderni?

Io amo le tastiere analogiche. Ho uno studio a Roma e la fortuna di poter avere un buon numero di quegli strumenti, così preferisco usare quelli, perché i suoni originali sono comunque diversi. Io del resto sono stato uno dei primi a portare il Minimoog in Italia. Il primo disco in cui lo usai fu per degli effetti sul disco di Lucio DallaAnidride solforosa”, per cui ho sempre avuto questo amore per quel tipo di strumenti, e già negli anni 90 ero convinto che sarebbero tornati prepotentemente. È un po’ come la differenza fra il CD e il vinile. Sono suoni che non puoi ricreare al 100%, c’è sempre una sottile differenza tecnica, sottile ma che si può sentire.

Anche la voce femminile della bravissima Erika Savastani contribuisce a dare un tocco diverso, visto che all’epoca d’oro del progressive le voci femminili non venivano usate.

Vero, anche se voglio ricordare i Curved Air che avevano questa bravissima cantante, Sonja Kristina, con cui ho avuto il piacere di collaborare quando venne apposta nel 2003 a Roma per cantare in The Asimov Assembly, un concept-album ispirato ad alcuni racconti di Isaac Asimov. Quando mi disse che il disco le era piaciuto e che sarebbe venuta a cantare ne fui molto felice, sono quei piccoli sogni che si avverano. E comunque posso dire di avere avuto la fortuna di vivere il periodo d’oro del pop italiano.

Tornando al disco della RAM è stato difficile trovare una casa discografica disposta a investire e a rischiare in un certo senso, sul progetto?

Abbiamo avuto diverse case che si sono interessate, proprio perché quel primo disco nel bene o nel male è rimasto un disco mitico. Le etichette interessate erano 3 o 4, e sono stato io, per dire la verità, a portare Pericle da Vannuccio Zanella della M.P. & Records, perché sapevo che era una persona appassionata, un discografico nel vero senso della parola, come forse oggi non esistono più. Per capirci, è uno che ha appena pubblicato il nuovo disco di Renzo Zenobi, un artista su cui pochi oggi avrebbero il coraggio di puntare e di investire. Io suonai tutte le tastiere nel suo disco “Telefono elettronico” che era stato prodotto da Lucio Dalla. Certo è un artista lontano da quelli che possono essere i miei riferimenti, ma tanto di cappello a chi ha il coraggio di fare quello in cui crede, pagando poi magari a caro prezzo la sua coerenza. Con Dalla cercammo di renderlo appetibile al grande pubblico e forse “Telefono elettronico” è stato l’unico suo disco che abbia venduto un po’ di più.

Tu sei romano, come nacque la collaborazione con gli Stadio che invece erano di Bologna?

Tramite la RCA. Io andavo a propormi alle case discografiche con il Moog, dicendo “Mi sto specializzando in questo strumento, ce l’ho e lo so adoperare”. Quando Dalla fece il disco “Anidride Solforosa” cercava degli strumenti e dei suoni nuovi. Lucio è sempre stato all’avanguardia, mi chiamò e da lì è nato tutto. Poi mi volle col primo gruppo che suonava con lui, mano a mano si aggiunsero gli altri elementi degli Stadio, e dopo le tournée con lui decidemmo di provare a fare un disco anche noi. Nacque quindi tutto grazie ai sintetizzatori, vedi?

Avete in programma anche dei concerti?

Assolutamente. Faremo dei concerti qui a Roma, e poi sicuramente vorremmo andare in Giappone. Dove hanno un vero e proprio culto per il progressive italiano. E poi stiamo già lavorando a un nuovo disco. Ci sono già 4/5 canzoni, ma ci saranno alcuni brani più lunghi che nel primo disco. Ci sono molti più assoli e più parti strumentali, sarà quindi un pochino più prog di “Angeli mutanti”, ma saranno sempre canzoni.