Scheda scritta da Andrea Montalbò, metallaro, scrittore e soprattutto amico…
Il 1978 è un crocevia critico nella storia moderna, caratterizzato da eventi le cui conseguenze – non sempre positive – si faranno sentire fino ai giorni nostri: solo parlando dell’Italia è l’anno del rapimento Moro, dell’assassinio di Peppino Impastato e del DC9 di Ustica. Al di fuori dei nostri confini, il Generale Pinochet proibisce libere elezioni in Cile fino al 1986; la Cina vieta la lettura delle opere di Aristotele, Shakespeare e Dickens; un attentato dell’IRA causa la morte di 12 persone a Belfast; l’esercito israeliano invade il Libano; a Jonestown in Guyana, il reverendo Jones spinge al suicidio i propri adepti (il conto finale raggiungerà i 909 morti). In campo musicale, il terremoto suscitato dall’avvento della musica punk genera le ultime scosse di assestamento prima della new wave mentre i cosiddetti “dinosauri” del rock, assorbito il colpo, si rimettono in marcia: nel corso dell’anno escono i lavori degli XTC, Generation X, Stranglers, Boomtown Rats, Devo, The Residents, Siouxsie And The Banshees, Pere Ubu e, soprattutto, i Public Image Ltd di Johnny Lydon-non-più-Rotten. In agosto esce “Who Are You”, l’album che riporta gli Who ai vertici: ma meno di un mese dopo il batterista Keith Moon muore per una accidentale overdose di medicinali. In questo scenario, potrebbe trovare spazio e interesse un nuovo gruppo dedito a un rock limpido e raffinato; attraversato da influenze soul e funk con qualche graffio hard; suonato con grande tecnica e prodotto con estrema raffinatezza? Sulla carta la risposta avrebbe dovuto essere no. In realtà, il verdetto fu sì, eccome.
Formatisi nel 1976, i Toto incidono il loro omonimo primo album nel 1978: nel loro caso, l’espressione “entrano in studio” potrebbe essere impropria visto che in studio ci sono già entrati da tempo e, tra album in proprio e collaborazioni, ci resteranno per un bel pezzo, tournée escluse. David Paich (tastiere e voce) e Jeff Porcaro (percussioni), già compagni di college, sono anche figli d’arte: Marty Paich è arrangiatore di fama e spicca per il lavoro compiuto con Ray Charles; Porcaro Sr., batterista come il figlio Jeff, vanta una carriera con Lalo Schifrin e collaborazioni con Nancy Sinatra e i Monkees (sì, quelli dei telefilm). Negli anni del college i due junior formano una band dal programmatico nome di “Rural Still Life” per poi dedicarsi, dopo il diploma, a una frenetica attività di session-men: Steely Dan e Cher tra gli altri. Proprio nel 1976 suonano entrambi nell’album “Silk Degrees” di Boz Scaggs: un album all’interno del quale almeno metà dei credits a livello di composizione va proprio a David Paich. Il successo mondiale di “Silk Degrees” aumenta le quotazioni del tastierista nell’industria musicale e lo incoraggia a formare un nuovo gruppo: scontata la partecipazione dell’amico Jeff, vengono reclutati David Hungate (bassista di Boz Scaggs), Steve Porcaro (fratello di Jeff) alle tastiere, il chitarrista Steve Lukather e il cantante Bobby Kimball. La fretta sarebbe cattiva consigliera perciò, mantenendo ciascuno le proprie collaborazioni, l’album di debutto non uscirà prima dell’ottobre 1978. Durante le registrazioni viene anche scelto il nome per il gruppo, lo propone Jeff Porcaro che ha appena visto la versione cinematografica di “Il Mago di Oz”: Toto, come il cane della protagonista Dorothy. Il singolo che per primo viene tratto dall’album è “Hold The Line” e neppure i Toto, forse, avrebbero pronosticato di vederlo entrare subito in classifica, direttamente al n° 5 della Hot100 di Billboard. David Paich, che ne è autore, ama descriverlo come un pezzo “facile”: «E’ iniziato tutto con il riff di piano dell’introduzione. Cominciai a suonare quel riff, non riuscivo a smettere. Continuai per giorni poi di colpo iniziai a cantare ‘Hold the line, love isn’t always on time’. Una frase che mi venne così… una benedizione. Mi venne in mente di notte, composi subito la strofa. Completai la canzone in due ore. È così, a volte riesci a comporre in fretta e a volte impieghi due anni a finire una canzone». “Hold The Line” trascina al successo anche l’album (forte comunque di altri “hit” come “I’ll Supply The Love” e “Georgy Porgy”), il tutto a dispetto della tiepida accoglienza riservata dalla critica musicale ai Toto: come già detto è il 1978, il loro sound è in controtendenza con tutto e la padronanza degli strumenti e dei generi finisce quasi per ritorcersi contro di loro. L’etichetta banale che viene appiccicata su di loro è quella di artificiosità, mancanza di spontaneità. Per il verso opposto, quello del pubblico, i Toto conquisteranno sin da subito – con la stessa semplicità di cui è fatta, per loro “Hold The Line” – legioni di fan: questa è la parte della storia che parla di arene gremite e dischi di platino e che prosegue sino ai giorni nostri, tra infiniti cambi di formazione; momenti dolorosi (Jeff Porcaro muore nel 1992 per un infarto, il fratello Mike nel 2015 per SLA); picchi musicali e commerciali: nel 1982 “Toto IV” surclasserà il successo del primo album. “Hold The Line” è dunque il passo d’inizio di una carriera con pochi uguali, fatta di alti e bassi quanto di costanza e coerenza; senza mai rinunciare alla primigenia vocazione di session men (“Thriller” di Michael Jackson allinea i quattro quinti della band: i fratelli Porcaro, Lukather e Paich) e concedendosi anche l’exploit della colonna sonora del film “Dune” di David Lynch. Nel 2015 i Toto danno alle stampe l’album numero quattordici e nel 2018 un’antologia celebrativa del 40° anniversario, seguita da nuovo tour mondiale.
Autore: David Paich
Anno di pubblicazione: 1978
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